quinta-feira, 4 de julho de 2013

Ci riprendiamo lo spazio pubblico


Insieme alla rabbia, le insurrezioni in Brasile (foto) e in Turchia mostrano la diffusione di una gioiosa autoaffermazione, “un piacere di conquistare lo spazio pubblico e di stare insieme”, dice Anselm Jappe, filosofo di origine tedesca. Quelle rivolte dicono che occorre sperimentare modi di vivere diversi dal capitalismo. Due buoni esempi per favorire questi esperimenti, secondo Jappe, sono l’Argentina 2001 e il pensiero della decrescita, “che cerca di rompere con un stile di vita mettendo in primis in discussione il proprio comportamento. Una critica efficace all’insieme del sistema non deve solo chiedere una diversa redistribuzione ma mettere in campo una nuova civiltà”.
di  Flore Murard-Yovanovitch
brazil-protest-hed-2013Anselm Jappe è un filosofo di origine tedesca, allievo di Mario Perniola. Ha pubblicato nel 1993 la prima monografia su Guy Debord (ultima edizione Manifesto Libri 2013) e ha continuato ad occuparsi dei situazionisti, nonché dell’opera di Karl Marx soprattutto attraverso l’interpretazione della «critica del valore». Di recente in italiano, è stato pubblicato Contro il denaro (Mimesis 2013). Il convegno internazionale «I situazionisti: Teoria, Arte e politica» si è tenuto al Dipartimento di Filosofia dell’Università di Roma Tre, hanno partecipato tra gli altri: Mario Perniola, Toni Arno, Carsten Juhl, Giorgio de Vincenti e Anselm Jappe, che ho intervistato in una pausa del convegno, per poi proseguire la conversazione a distanza, mentre esplodevano le insurrezioni in Turchia e Brasile.
Oggi si sta dissolvendo il lavoro. Possiamo sperare di vivere una vita più autentica e creativa?
Il paradosso risiede nel fatto che è proprio la società del lavoro ad abolire il lavoro… La sostituzione del lavoro con la tecnologia e la disoccupazione strutturale potrebbero in sé essere un fattore positivo: in una società razionale, le tecnologie permetterebbero a tutti di lavorare molto di meno, e ciò sarebbe un bene. Invece la società capitalista non si interessa all’utilità o meno, ma alla sola produzione del “valore”: chi non ha un lavoro viene tagliato fuori dalla società. Ma quando la crisi del capitalismo raggiungerà il suo apice, almeno la metà della popolazione globale diventerà un’umanità superflua. Quindi, quello che potrebbe rappresentare una chance, in realtà è una tragedia.
Quale sarebbe oggi la nuova base sulla quale rifondare l’organizzazione sociale?
Potrebbe essere costituita da un accordo diretto tra individui sulle attività da svolgere per raggiungere determinati obiettivi produttivi fissati insieme, con un minimo di fatica. Il marxismo tradizionale ha evidenziato un opposizione tra quelli che lavorano e quelli che si appropriano del lavoro altrui, ma oggi questa distinzione non è più così centrale.
Cosa pensa della prassi dell’autogestione e delle forme di scambio che vanno sempre più emergendo nella società? E perché la sinistra non abbraccia ancora quest’«economia alternativa»?
La sinistra non capisce che il capitalismo nuovo abolisce proprio le vecchie categorie. Alla sinistra è sfuggita l’evoluzione recente del capitale che abolisce il denaro, come ho cercato di dimostrare in Contro il denaro. L’“anticapitalismo” della sinistra è solo un “antiliberalismo”: non ha mai concepito una vera alternativa.
Come i movimenti Occupy e Indignados che si limitano ad una critica al sistema finanziario senza ancora aver pensato una alternativa vera?
È certamente positivo che movimenti di massa rompano la passività e l’obbedienza. Ma come ho già scritto in vari articoli, in realtà, si limitano a colpire l’alta finanza, non criticano l’accumulazione del valore alla sua radice. Riprendono anche, normalmente senza accorgersene, i vecchi temi cari all’estrema destra – l’avidità di un pugno di banchieri “malvagi” versus l’onestà dei risparmiatori – rischiando di sfociare nel mero populismo, quando non nell’antisemitismo. Lo slogan “siamo il 99%” è rivelatore! Dove andrà a finire tutto questo scontento? Allo scenario italiano? Dove lo scontento non ha nemmeno portato agli Indignados, ma al Grillismo: in un populismo apparentemente di sinistra ma in realtà intrinsecamente di destra.
Le insurrezioni in corso in Brasile e in Turchia, invece, non sono di natura diversa e nuova?
Pare proprio di sì. La loro apparizione assoltamente spontanea e inattesa e il fatto che si situano fuori dagli schemi della vecchia politica dimostrano che tutto può ancora succedere, anche e soprattutto dove il capitalismo è apparentemente “in buona salute”, nei cosiddetti paesi emergenti. L’aspetto più notevole di queste contestazioni è forse la critica implicita alle varianti locali dello “spettacolo”: in Turchia lo spettacolo religioso, cioè l’islamizzazione della società con un ritorno all’“ordine morale”, in Brasile lo spettacolo sportivo che ha svolto finora un ruolo così grande nella passivizzazione della popolazione. Sembra di percepire, insieme alla rabbia, una gioiosa autoaffermazione, un piacere di conquistare lo spazio pubblico e di stare insieme.
Quale sarebbe una critica rivoluzionaria del capitalismo, che possa costituire una vera rottura definitiva e costruttiva?
Al seguito della crisi del 2001, l’Argentina ha sperimentato diversi tentativi di riappropriazione dei mezzi di produzione. Molto positivo è il pensiero della “decrescita” che cerca di rompere con un stile di vita mettendo in primis in discussione il proprio comportamento. Una critica efficace all’insieme del sistema non deve solo chiedere una diversa redistribuzione ma mettere in campo una nuova civiltà.
In questa uscita dalla civilità attuale ci sarà posto per l’eredità del situazionismo?
Diversi soggetti nella società attuale, dagli hacker agli agricoltori bio, vaste aree sovversive e artistiche, si rivendicano “situazionisti”. Esistono in realtà numerosissime persone aperte ad una ricerca nuova e pronte per un cambiamento radicale.

Fonte: Unità.it (titolo originario “Contro il denaro”)

Una resistenza globale e permanente


Spagna, Grecia, Turchia, Brasile. Ovunque c’è resistenza. In modo poco prevedibile molte persone comuni entrano in azione. Non diventano tutti, dalla sera alla mattina, più consapevoli, però dalla sera alla mattina diventano più speranzosi. E coloro che diventano speranzosi, intasano le strade con il loro dissenso. Cosa hanno in comune queste resistenze? Di certo il rifiuto della politica tradizionale e, naturalmente, della repressione. Ma coloro che intasano le strade sanno anche che per un mondo nuovo ci vogliono sia una pressione costante sul potere che una costruzione creativa diretta, ad esempio attraverso le assemblee di quatiere. Tuttavia, spiega Michael Albert, sanno pure che ora ci sono persone che soffrono, che meritano dei rimedi in questo momento, anche se un nuovo mondo non verrà improvvisamente alla luce adesso. Per questo, dicono, dobbiamo ottenere e sperimentare ora cambiamenti che migliorino le condizione della gente, ma dobbiamo farlo in modi che portino verso ulteriore lotta.
di Michael Albert
brazil-soccerQui, là, e ovunque c’è resistenza. Ebbene, non proprio, non ancora, ma in apparenza imminente. Le persone sono alienate e frustrate, il che è, tuttavia, quasi sempre vero. Le persone sono anche arrabbiate per l’ultimo filo di paglia che ha rotto la schiena del cammello,* l’aumento di una tariffa, un salvataggio in campo finanziario, un taglio al bilancio, un resoconto di spionaggio di vasta portata. Ops, anche questo è quasi sempre vero. Un altro giorno, un’altra schiena di cammello rotta. E quindi che cosa c’è di diverso adesso?
Qualche pezzo di paglia particolare ma imprevedibile fa sì che una quantità sufficiente di persone entri in azione e anche molte altre facciano la stessa cosa. Non diventiamo, dalla sera alla mattina, più consapevoli, più coscienti o più morali. Però dalla sera alla mattina diventiamo più speranzosi. La gente può improvvisamente diventare più gioiosa invece che depressa. Coloro che diventano speranzosi, intasano le strade con il loro dissenso. E oltre un certo punto, si produce altro intasamento, almeno per un po’, e anche maggiore.
I soliti opinionisti , che osservano da dietro le finestre dell’albergo, chiedono, “Perché tutto questo dissenso?”, come quando chiedono: “Quale è la lagnanza immediata?” Naturalmente questa domanda è un perditempo perché le riposte, per quanto eloquenti, non dicono a nessuno nulla di quanto già non sappiano.
Opinionisti più astuti chiedono: “Quale è la lagnanza su larga scala che è alla base”? Anche questa domanda non è però particolarmente utile, perché, di nuovo, la risposta è ovvia. Tutto è sfasciato, tutti, perciò hanno serie preoccupazioni. Enunciare in modo eloquente la gran quantità di quelle preoccupazioni può istruire poche persone che non le condividono, ma a conti fatti dice con gran forza agli affamati che la fame fa male, ai senza tetto che non avere casa fa male, e in generale dire a chi è disprezzato perché è arrabbiato. Naturalmente, però, gli affamati, i senza tetto, e conoscono la senza che glielo dicano gli opinionisti.
Sì, la Spagna è diversa dalla Grecia. La Grecia è diversa dalla Turchia. La Turchia è diversa dal Brasile. E tutti sono diversi da qualsiasi cosa verrà dopo. E, certo, talvolta le differenze sono molto importanti. Avere come presidente una ex guerrigliera rivoluzionaria in Brasile è una cosa, avere un autocratico elitario da incubo come il presidente della Turchia, è un’altra.
Una domanda migliore è: Che cosa hanno in comune le masse di “intasatori”, di dimostranti, di resistenti”?
Rifiuto della corruzione politica.
La criminalità è estremamente irritante. Anche l’ipocrisia. E tutti quelli che ostruiscono le strade sembrano animati, almeno in gran parte, da un rifiuto completo su larga scala dei raggiri di una elite manipolatrice, bugiarda. La corruzione infastidisce la gente.
Rifiuto della politica in sé.
Un passo oltre la crociata contro la corruzione, la gente insulta i politici, i partiti e le elezioni. “Non piegatela, non giratela, o non rovinatela,” uno slogan degli anni ’60 che è di gran lunga più appropriato oggi – sembra avere assunto una nuova forma. “Non istruite, non contate, non contateci, non reclutateci, non dirigeteci.” Per molti di coloro che sono nelle strade, il governo, compresi le elezioni, i partiti, e naturalmente la repressione politica fanno parte del problema. Per alcuni di coloro che sono nelle strade, è perfino tutto il problema. Per pochi è perfino un segno di un modo di pensare moderno per rifuggire assolutamente da qualsiasi tipo di identificazione politica.
Rifiuto del programma
Sembra che ci sia un piccolo passo in più da fare dal rifiutare la repressione a rifiutare la politica a rifiutare di avere un programma di qualsiasi tipo. Questo settore di dissenzienti sente che, avere un programma, vuol dire discuterlo, dibatterlo, richiederlo, e, specialmente, fare questo con delle autorità corrotte. La loro reazione è rifiutare il programma. Pensano che, se dovessimo avere un programma, ci dovremmo rivolgere alle autorità e questo darebbe loro legittimità, e noi ci rifiutiamo di fare una cosa simile.
Rifiuto della repressione
Questo è facile. Ammazzatemi con il gas, bastonatemi, sparatemi. Scommetto che potete indovinare – non lo voglio, non ne ho bisogno. Non lo tollererò.
Disponibilità ad agire
Questo è ovvio, naturalmente – dopo tutto parliamo delle caratteristiche comuni alla gente che è nelle strade, il che significa persone che sono già in azione – quindi questa comunanza è ovvia e molto visibile.

Questo è, naturalmente, ovvio – dopo tutto parliamo di caratteristiche comuni tra persone che scendono in strada, cioè persone che stanno già passando all’azione – quindi questa comunanza è ovvia e molto visibile.
Potrei andare avanti a riconoscere altre cose che hanno in comune i gruppi che scendono in strada da San Paolo a Barcellona e da Atene a Istanbul. La preziosa globalizzazione che chiamiamo internazionalismo, ha portato ad avere molte caratteristiche comuni. La lista di cui sopra è sufficiente per ora perché punta verso una domanda realmente importante: dove porterà il dissenso con queste caratteristiche?
Ognuno dovunque sa che ogni cosa è sfasciata. Ognuno che dissente – e perfino la maggior parte di chi non dissente ancora – sa che i politici che occupano le cariche in maniera preponderante, favoriscono le ingiustizie che ci circondano, non soltanto quando sono per lo più corrotti, ma anche quando operano al loro meglio. E molti che rifiutano i politici sanno – e scommetterei che quasi tutti non avrebbero problemi a essere d’accordo su questo – che questo tipo di comportamento politico non è programmato. Non è genetico. Non è neanche un tipo di male aberrante che si è appreso, che le persone si portano dentro, nelle loro personalità, grazie a un “tirocinio” ricevuto fin dalla culla, o in altro modo. Invece, ognuno sa che i politici contribuiscono all’ingiustizia e alla deprivazione che è visibile dappertutto intorno a noi, semplicemente perché fanno ciò che si suppone facciano. Ottengono cariche per mezzo di campagne di propaganda pagate dai super ricchi. Occupano posizioni esplicitamente designate ad aiutare i super ricchi. Operano all’interno di regole e strutture dove dominano i programmi dei super ricchi.
Ne consegue che i politici non e non possono tradire i “cittadini” perché i politici non rappresentano i “cittadini”. L’unico politico che tradisce è quello rarissimo che in realtà serve il pubblico, serve i poveri, serve la giustizia e l’uguaglianza, perché questo politico raro in effetti tradisce gli interessi di che si pensa che serva, gli interessi che la sua causa è designata a servire – gli interessi dei ricchi e dei potenti.
Movimenti e potere
Ognuno sa anche che un nuovo mondo non nascerà magicamente da uno slogan di dissenso o da un’enorme dimostrazione, ancora meno da un mattone che viene lanciato, o da una fiamma che viene accesa. Un passo in più nell’analisi, e arriveremo all’osservazione che un movimento che non sa che cosa vuole e che non domanda che cosa vuole e che non ha un programma attivo per realizzare ciò che vuole, è, di fatto, un movimento che implicitamente fa delle richieste all’autorità. Un movimento che non è chiaro rispetto ai suoi obiettivi non dice al potere: “Fate quello che giudicaste auspicabile e necessario, anche se, naturalmente non siete d’accordo, perché se non lo farete, vi demoliremo.” Dice al potere: ”Ascoltateci, ci fa male, toglieteci il dolore, e fatelo nel modo che secondo voi ha senso”.
Ironicamente, questo messaggio è esattamente l’opposto dell’intenzione dichiarata dai dissenzienti di non fare richieste al potere o di legittimarlo. E dal momento che le elite a cui si fanno richieste, non ha alcuna idea circa quello che allevierebbe il dolore, tanto meno alcun desiderio di fornire ciò che allevierebbe il dolore, questo non accadrà. Se sentono sufficiente pressione per capire che devono reagire, ma non si mostra loro alcun percorso che devono seguire, ne sceglieranno uno che possono manipolare e pervertire a vantaggio del loro elettorato di super ricchi.
Dissenso e creazione creativa
taksim-protestOgnuno sa, e certamente lo sanno coloro che intasano le strade, che per un mondo nuovo ci vuole una pressione costante e una costruzione creativa, non soltanto il dissenso più la speranza che qualche mediatore del potere elitario agirà con onore. Però ognuno sa anche che ora ci sono persone che soffrono, che meritano dei rimedi in questo momento, anche se un nuovo mondo non verrà improvvisamente alla luce adesso. E quindi che cosa viene fuori come risposta? Fare che cosa, data le conoscenze che condividiamo e dati gli impegni che abbiamo?
Dovremmo ottenere adesso cambiamenti che migliorino le condizione della gente, ma dovremmo ottenerli in modi che portino verso ulteriore lotta invece che verso la dissoluzione e il dissenso.
Ci sono due aspetti che riguardano il raggiungimento di questi scopi. Primo, cercare i cambiamenti che di fatto gioveranno alle persone che hanno bisogno di benefici. Secondo, combattere per ottenere quei vantaggi, in modi che susciteranno ulteriori desideri meritevoli e che creeranno altri impegni e organizzazione del movimento, e anche, quando è possibile, produrranno strutture continue di influenza e estensione del movimento. Le vittorie immediate aiutano coloro che soffrono. I metodi nascono, illuminano e danno forza ai tentativi di ottenere di più. Il movimento perdura e cresce.
Tutto questo può sembrare facile, ma, naturalmente, non lo è. Ottenere un mondo migliore sarebbe fantasticamente complesso perfino se non ci fossero forze potenti che ostacolano il tentativo a ogni passo del percorso. Tuttavia la reazione a quei centri di potere e di coercizione e alle loro bugie e alla loro violenza, non dovrebbe essere di lamentarsi per la loro portata, ubiquità o tenacia. Dovrebbe consistere invece, nel girargli attorno, scavalcarli, esaminarli, dando per garantita la loro presenza, in quanto ostacolo, ma un ostacolo che deve essere superato.
Considerate il problema dei trasporti in Brasile. L’aumento delle tariffe degli autobus ha fatto precipitare il dissenso, ha, naturalmente, danneggiato i poveri. Che cosa dovrebbero cercare? Ebbene, superficialmente, naturalmente, sarebbe una cosa eccellente ritornare alle solite tariffe che c’erano erano in precedenza, e poi ridurle ulteriormente. Come si dovrebbe parlare di questo? Una buona scelta sarebbe di insistere che il trasporto dovrebbe essere gratuito perché le circostanze e le situazioni delle persone dovrebbero essere eque. Ma se il governo cede e sovvenziona i trasporti, ma ne paga i costi, in gran parte o anche in modo preponderante prendendo i soldi da coloro che avrebbero pagato le tariffe aumentate? Può darsi che il governo tassi in modo regressivo i poveri. Forse per punizione riduce i propri servizi. In entrambi i casi, il governo avrà raggirato Peter (i poveri), anche se in un modo nuovo, per far vedere che paga Peter (i poveri), e nel frattempo Paul (i ricchi) ride di questo risultato. Mettete la situazione in un contesto, e non ho idea di che cosa avrebbe più senso in Brasile; forse, però, una tassa sugli autotrasporti, o sui trasporti aerei o su tutte le forme di trasporto che pagano i ricchi per diminuire le tariffe degli autobus e renderle poi gratuite. O forse il pagamento potrebbe venire da una riduzione dei servizi che mirano a beneficiare i ricchi, come le spese militari. Un breve, la richiesta dovrebbe assicurare che per pagare il povero Peter non prendiamo denaro dall’altra tasca di Peter, ma invece lo prendiamo dal ricco Paul.
Il ragionamento di cui sopra si applica quando si tratta di difficoltà di bilancio di tutti i tipi. Ci si può immaginare che la il fulcro delle richieste si estenda a problemi di accesso all’istruzione, alle tasse in generale, anche alla retribuzione, e alle ore di lavoro.
Considerate un’altra dimensione. Che cosa dovrebbero fare i movimenti riguardo ai governi e ai politici e ai media? Una possibilità sarebbe quella di domandare dei cambiamenti. Un’altra possibilità sarebbe di costruire alternative. Non si escludono a vicenda. Infatti ognuna può e dovrebbe improntare e incoraggiare l’altra.
Quindi, per quanto riguarda le richieste, ci potrebbero richieste di nuove spese, di tasse diverse, di politiche diverse di controllo, nuove procedure di voto, e nuovi benefici sociali. Oppure, per quanto riguarda i media, ci potrebbero essere richieste di nuove sezioni dei giornali e dei programmi di notizie alla televisione che potrebbero essere supervisionati dai movimenti popolari o dalle organizzazioni popolari di base o anche da pubblici plebisciti. In ogni caso lo scopo sarebbe di migliorare le vite delle persone nel momento attuale e di spingere il governo e/o i media verso una maggiore partecipazione e vigilanza pubblica. La discussione, tuttavia, formulerebbe ogni cosa in base a valori e scopi recenti a lungo termine – compresi, per esempio, l’autogestione popolare, in modo da chiarire che i vantaggi immediati non sono un fine, ma invece una tappa intermedia per cercare di ottenere ulteriori vantaggi.
Assemblee di quartiere
In quanto alla costruzione, le possibilità dirette, sebbene molto difficili, sono: creare assemblee di quartiere per cominciare a subentrare all’autorità locale e anche a esercitare pressione per decisioni a più alto livello, compresa quelle di andare verso il controllo di queste. Analogamente, creare media alternativi sarebbe un’azione contrapposta nei suoi motivi e nella sua struttura alla opinione corrente. Come troverebbero i movimenti i mezzi per pagare tutto questo? Un’opzione sarebbe la richiesta al governo di sovvenzionare questi tentativi.
Infine, che dire di creare mezzi di organizzazione per l’attività continuativa del movimento e per arricchirne l’impegno e la creatività? Un mezzo sono quelle stesse assemblee di quartiere, ora considerate sedi di dibattiti ed di formulazione di programmi attivi. Un altro veicolo sono i media alternativi come mezzo di diffondere chiarezza e visione. Una terza opzione, tuttavia, sarebbe di creare un’organizzazione nazionale, allineata a livello internazionale con altre istituzioni nazionali, tutte caratterizzate da impegni ideali e strategici condivisi, e da impegni programmatici, dalla solidarietà e dall’aiuto reciproco. Anche questo fornirebbe una sede e un mezzo per un programma e per la lotta.
Si potrebbe anche immaginare un organizzazione di questo tipo, con legami al di là dei confini, che sviluppa la solidarietà per impegnarsi in massicce campagne internazionali per la pace e la giustizia, per la riallocazione della ricchezza nazionale non per la guerra e dalla repressione e a favore l’istruzione e la sanità, per una campagna seria ed effettiva per porre fine al riscaldamento globale, per avere settimane lavorative più brevi in tutto il mondo, per la redistribuzione del reddito tramite cambiamenti dei salari minimi e dei salari in generale, e delle tasse, per porre fine alle violenze contro le donne e gli omosessuali, alle violenze razziste e alla repressione dell’immigrazione, tutte realizzate in un modo designato non soltanto a ottenere benefici immediati, ma a stimolare nuovi desideri e nuove lotte che conducano verso un mondo nuovo.
Come succede sempre quando ci sono imponenti insurrezioni popolari, i risultati sono incerti. L’opinione corrente userà mezzi di cooptazione e di coercizione per cercare di incanalare energie in Spagna, Grecia, Egitto, Turchia, Brasile, in tutto il Medio Oriente e in qualsiasi altro luogo dove esplode il dissenso, verso il ripristino dello status quo di ineguaglianza duratura. La destra cercherà di spaventare e provocare la gente e di generare quindi una deriva verso risultati di tipo più fascista. Lo stesso dissenso di massa non deve accontentarsi di essere vasto, visibile, o anche di essere aggressivo, sebbene tutti questi attributi siano essenziali. Il dissenso di massa deve invece diventare informato, unificato e organizzato.
Qui potrebbe essere l’opinione conclusiva. Contrariamente a ciò che sentono spontaneamente molti che sono coinvolti nell’attuale dissenso di massa, non dovremmo permettere che la nostra ansia giustificata verso il governo attuale e verso i politici ci faccia rifiutare le richieste di cambiamenti che possono aiutare le persone proprio adesso. Certo, è essenziale evitare la cooptazione nei dibattiti statali definiti dai governi e dalle elite in generale. Certo, è anche fondamentale evitare di fare appello alla saggezza o alla generosità inesistenti dell’elite. Questi perseguimenti sono sciocchezze. Non c’è però qualsivoglia ragione, mentre le elite occupano le posizioni di potere nella società, di non costringerle ad arrivare a migliori risultati anche se noi orientiamo fermamente le nostre scelte e le nostre logiche e le nostre spiegazioni verso l’eliminazione finale delle posizioni di potere.

* E’ un proverbio di origine araba, riferito a come un cammello viene caricato oltre la capacità di muoversi o di stare in piedi. Corrisponde al nostro detto: la goccia che fa traboccare il vaso (n.d.t.)

Fonte: znetitaly.org (traduzione di Maria Chiara Starace).
Michael Albert, economista della sinistra statunitense, impegnato da anni con i movimenti degli studenti e contro la guerra, si definisce un abolizionista del mercato. Co-editore della rivista online Z Net, è autore di numerosi articoli e libri, tra quelli tradotti in Italia “Oltre il capitalismo” (eleuthera) e “L’economia partecipativa” (Datanews).

In Grecia, l’idea di avanguardia è stata messa alla prova

Lo spirito di Sintagma

Nella società greca, devastata dalle misure imposte dalle istituzioni politiche e finanziarie europee, le autogestioni nate dopo la grande esperienza di Piazza Sintagma ripensano la democrazia non solo come forma di partecipazione e modo di prendere decisioni. Il senso della democrazia è stato re-inventato dalla gente che si è incontrata, riconosciuta come uguale e ha sognato un altro modo possibile di vivere. Stavros Stavriles, architetto e docente all’Università tecnica nazionale di Atene, lo ha raccontato in un incontro al centro sociale madrileno Patio Maravillas. Ecco la trascrizione del suo intervento e un sintetico resoconto delle risposte date al pubblico nella trascrizione scritta da Diagonal
di Eva Garcia e Beatriz Garcia
cocina_colectiva“L’occupazione della piazza Sintagma non era semplicemente una forma collettiva di manifestarsi né era solo una maniera di avanzare richieste. Era un modo di proporre un’altra, diversa vita sociale e per riprenderci le nostre vite”. Stavros Stavrides, architetto e docente all’Università tecnica nazionale di Atene, è stato a Madrid per una serie di conferenze sui movimenti contro l’austerità in Grecia, dal punto di vista dei processi di autogestione o di occupazione, da parte della popolazione, di servizi sanitari,  piazze, mense, mercati, centri sociali. “Le esperienze vissute in Europa (compresa quella di Madrid) sono molto legate alla richiesta di un nuovo tipo di democrazia e alla costruzione delle nostre vite”, ha affermato Stravides nel suo intervento al centro sociale madrileno Patio Maravillas, di cui qui riproduciamo una trascrizione e le successive domande dei partecipanti.
Mutuo sostegno di fronte alle rovine del debito pubblico
Questo periodo ha creato un nuovo modo di produrre soggetti politici. Che non sono semplicemente soggetti impegnati nell’azione e nella rivendicazione ma anche nella proposta e nella creazione. Questi soggetti, senza essere neanche pienamente consapevoli di questo, hanno creato nuove forme di auto-organizzazione e di auto-aiuto nel mezzo di una crisi economica e politica molto grave. La prima caratteristica dei movimenti e delle iniziative che si sono sviluppate a partire dalla piazza di Sintagma era precisamente il loro rapporto con l’autogestione. In questo periodo di crisi, in Grecia, ad Atene, siamo di fronte a gravi problemi che hanno a che fare con la sopravvivenza del giorno per giorno. Sono sorti nuovi soggetti che cercano di aiutare i più bisognosi: ONG o associazioni filantropiche. Queste iniziative riproducono le forme del potere: clientelismo e potere diretto. Dall’altro lato, abbiamo i frutti dell’esperienza di Sintagma: iniziative che puntano allo stesso modo ad aiutare in rapporto alle necessità ma si basano, in questo aiuto, sulla partecipazione e il coinvolgimento.
Per esempio: è stato creato un centro sociale nel centro di Atene, a Yografu. In questa zona, anche il municipio di Atene aveva un centro che offriva pasti giornalieri ai senza dimora. Con la crisi, il Municipio non ha avuto più le risorse per mantenerlo, così il centro e il relativo intervento sono stati abbandonati. Allora le persone assistite dal centro del Municipio si sono rivolte al centro sociale. Che, a sua volta, è stato aperto in una proprietà comunale, in una piccola caffetteria occupata per avere un centro sociale e culturale, nello stesso quartiere con lo spirito di Sintagma. La gente del centro sociale ha detto ai senza tetto che non avrebbe potuto aiutarli a meno che non avessero (i senza dimora, ndt) cominciato anche loro a partecipare ad azioni di aiuto per loro stessi e per gli altri: “ Se sapete cucinare, unitevi alla squadra della cucina per cucinare per voi e per gli altri”. È un piccolo esempio dello spirito di Sintagma, da cui si evidenziano  l’auto-organizzazione e l’auto-aiuto (aiuto reciproco) attraverso progetti di collaborazione.
Democrazia
Questi soggetti politici non possono essere classificati alla stessa maniera in cui lo erano prima di Sintagma. Secondo l’idea di Jacques Rancière (filosofo francese contemporaneo), l’azione politica è fondamentalmente un’azione che de-classifica i soggetti. Credo che le persone coinvolte nelle iniziative si re-inventavano socialmente e politicamente attraverso queste azioni. Per esempio, ci sono un gran numero di centri di salute nella città di Atene: i professionisti coinvolti svolgono la loro attività senza riprodurre il ruolo tradizionale del medico perchè stanno costantemente re-inventando la relazione con il paziente. L’aiuto che ci si scambia è di tipo neutrale, non legato al mercato nè al conseguimento di benefici. Nella maggioranza dei casi non ci sono neppure sostegni pubblici. Tutto è basato semplicemente sulla solidarietà. Queste esperienze, sviluppate sotto l’ombrello di Sintagma, hanno un rapporto molto particolare con la democrazia.
Dopo Sintagma, e certamente anche in rapporto con le esperienze vissute a Madrid, la democrazia non rappresenta solo una forma di partecipazione e un modo di prendere decisioni. La democrazia è diventata una questione di creazione, di coordinamento e di pratica. Il senso della democrazia è cambiato a Sintagma, è stato re-inventato perchè la gente si è incontrata, si è vissuta come uguale, ha dovuto agire in modo coordinato senza che ci fosse nessun centro. Possiamo dire che queste iniziative hanno come caratteristica comune l’impiego della democrazia come forma di coordinamento e creazione attraverso iniziative collettive. Democrazia, in altre parole, è condividere tra uguali in una situazione in cui questa uguaglianza è la pre-condizione.
Senza avanguardia
Durante e dopo Sintagma l’idea di avanguardia è stata messa alla prova. Non è un caso che tanto la parte più stalinista del Partito comunista quanto la parte più combattiva degli anarchici si siano opposte al processo-esperienza di Sintagma in nome della lotta contro la borghesia (era l’accusa che veniva rivolta). Al contrario, Sintagma ha dimostrato che se tutti sono considerati uguali, tutti sono in grado di partecipare a un processo collettivo. Credo che lo spirito di Sintagma, la sua eredità, si possa ritrovare in quelle iniziative in cui nessuna parte del movimento appare con un ruolo di leader. Queste esperienze basate sulla orizzontalità sono riuscite a connettere molta più la gente di quanto non abbiano fatto quelle fondate su una idea di avanguardia.
Il “fare” produce il comune
Le iniziative nello spirito di Sintagma che cercano di affrontare gli effetti della crisi non si caratterizzano solo per un tipo di procedimento ma anche per un tipo di prodotto. Se siamo d’accordo sul fatto che i prodotti sono il frutto di relazioni sociali, e che per “prodotti” possiamo intendere tanto i beni fisici tangibili quanto i servizi e le relazioni sociali, possiamo essere concordi sul fatto che sono sorti nuovi prodotti, il risultato di queste nuove forme di collaborazione, cioè, dei beni comuni che sono stati prodotti attraverso il fare ( in) comune (commoning). Per esempio, ci sono molte cucine collettive nella città, alcune sono legate a collettivi anarchici o di sinistra, altre sono legate con associazioni di vicinato, ma in nessuna di esse si produce solo cibo. Ci sono sempre nuove forme di collaborazione, relazione e abitudini che producono nelle persone una nuova comprensione di quali sono le situazioni in cui vivono. È il caso anche delle reti di scambio che si sono sviluppate attraverso tutto il paese: la gente può scambiare beni e servizi senza avere alcuno scambio monetario. In maniera simile a quello che accadde in Argentina e in altre situazioni analoghe, sappiamo che durante le crisi si sviluppano reti attraverso le quali si può trovare ciò di cui si ha bisogno oppure scambiare senza bisogno di possedere denaro.
In questi casi non è il mercato a stabilire il prezzo delle cose ma si produce una rivalutazione sociale del valore dei prodotti e dei servizi. Un altro esempio sono i collettivi di lavoro, in cui si capisce che il problema del lavoro, in un contesto di grande disoccupazione, non è un problema individuale ma collettivo. Ci sono numerosi esempi di piccoli caffè e di negozi a gestione collettiva, senza un capo, in cui sono i lavoratori che si dividono il ricavato e valutano il servizio che stanno fornendo in funzione di criteri diversi di valutazione. Abbiamo altri due esempi indicativi di vecchie imprese che sono state abbandonate e sono state recuperate dai lavoratori: la prima è una media industria di materiali da costruzione a Salonicco, la seconda è un grande giornale di città che ora viene prodotto dai suoi lavoratori.
La politica non è da un’altra parte
Siamo in un momento in cui la politica non si definisce meramente come un’azione indistinta, separata da qualsiasi altra azione. Perchè solidarietà, democrazia e corresponsabilità non sono considerati come elementi solamente ideologici. Dopo Sintagma la democrazia e la solidarietà fanno parte di una lotta quotidiana per ridefinire quello che significa una vita degna. Molte persone coinvolte oggi non erano state coinvolte nella politica, nel senso tradizionale, in precedenza, anche se per politica intendiamo una pratica antiegemonica e anticapitalista. Questo modo di considerare la politica come qualcosa che attraversa tutti i livelli della vita quotidiana è una ridefinizione della politica. In questo tipo di politica la gente è invitata a giudicare la vita che sta vivendo e anche a sognare quale possa essere un altro modo possibile di vita.
mercado_municipal_ocupado(Foto: mercato occupato nel quartiere Kypseli, Atene)
Spazi intermedi
Questa ri-politicizzazione del quotidiano produce un nuovo tipo di spazio pubblico creato dal fare comune, dalla “comunalizzazzione”. E questo tipo di spazio non è un tipo di spazio regolato dall’autorità, non è uno spazio concesso sotto certe regole e condizioni. E’ un tipo di spazio pubblico che si produce attraverso le persone che stanno re-inventando il fare cose in comune. Allora, pubblico non è ciò che è appartiene allo Stato o a qualsiasi tipo di istituzione pubblica ma è lo spazio che le persone producono creando la loro vita e i beni che sono necessari per essa. Questo tipo di spazio (cucine comunitarie, centri sociali di salute, centri sociali per la produzione di educazione e cultura…) è sempre uno spazio che deve rimanere aperto alla negoziazione, non è uno spazio chiuso. Dovremmo parlarne come di uno spazio comune perchè non è più lo spazio pubblico così come lo intendiamo.
Questi spazi hanno necessariamente alcuni limiti, che però non sono chiusi ma porosi. È un grande insegnamento della piazza Sintagma che lo spazio pubblico non è quello che è aperto ma quello che sta continuamente aperto. Al contrario del tipo di intervento con cui la polizia ha cercato di marcare lo spazio della piazza come uno spazio di ribellione o della stessa strategia di quelli che accusavano  questo spazio di essere asociale, additandolo come enclave di illegalità (tutto il contrario di quanto accadeva lì).
La lezione che offre Sintagma è che questo tipo di spazio  è il terreno di prova di un nuovo tipo di vita sociale. Devono essere, questi, spazi intermedi, primi passi di un processo, spazi che non appartengono a nessuno e che appartengono a tutto il mondo. Questo è il lascito, una gran quantità di esperienze e iniziative a cui si sta tentando di mettere mano e che erano sconosciute. Non è facile e ci costringe a superare noi stessi in alcune occasioni. Ma è importante per ottenere un futuro di emancipazione, migliore.
Cucina collettiva ad Atene
Una preoccupazione a proposito del comune parte dalla definizione di ciò che è di tutti e di ciò che non è di nessuno, perchè lascia fuori la corresponsabilità nella gestione dei processi. Questa è senza dubbio una caratteristica dello spazio pubblico. Gli spazi comuni, come quelli dei centri sociali, si costruiscono intorno alle comunità, diverse, porose, inclusive, che si aprono e chiudono, ma che sono necessarie, perchè trattare i beni comuni senza la questione della comunità non corrisponde tanto alla realtà. Forse il futuro del comune passa per il riconoscimento delle risorse e delle comunità, ben oltre l’ovvio e le loro reciproche relazioni.
Nella definizione di spazio pubblico come comune, l’idea che esso può appartenere a tutti e al contempo a nessuno fa emergere il problema delle comunità. Vi sono due grandi linee nella teoria sul comune, una in relazione a questa forma di emancipazione sociale, l’altra vede il comune come forma di produzione di risorse a sostegno di una specifica comunità. Credo che la nostra risposta debba essere quella di sostenere il comune come l’opzione che sostiene comunità sempre in evoluzione.
Non comunità stabili, perchè le comunità che si autoriproducono non sono necessariamente in un processo di emancipazione ma immerse in un processo di ripetizione che è nella sua essenza di carattere conservatore. Attraverso il processo del fare comune e le ri-negoziazioni costanti, le comunità si ridefiniscono e emergono in questa ridefinizione che sarebbe emancipatoria.
Durante e dopo Sintagma è stato necessario confrontarsi col problema di come potessero lavorare insieme in percorsi di collaborazione comunità con identità molto diverse. Alcune volte ciò ha creato una nuova forma di comunità a scapito delle identità precedenti. Se consideriamo le comunità non come chiuse e stabili ma aperte e impegnate in un processo continuo di elaborazione, possiamo ottenere una risposta alle considerazioni sul comune come processo di emancipazione. In termini di identità politica, dopo il dicembre del 2008 e Sintagma, i collettivi di sinistra, di estrema sinistra e quelli anarchici collaboravano, il che era impensabile cinque anni prima.

DOMANDE E RISPOSTE
Rispetto alla strategia della polizia di ridurre Sintagma ad una enclave, credi che se ne possa dedurre una strategia generale del governo che consisterebbe nel ridurre qualunque punto di rottura (la città stessa) in un’enclave spaziale?
Credo che la creazione di spazi enclaves risponda a una strategia di dominio generale. Viviamo in una città di enclaves, in una situazione in cui si produce una separazione sociale e un controllo di queste modalità di separazione. A fronte di questa esperienza, che non è semplicemente fatta dai luoghi di apartheid o dalla grande segregazione delle megalopoli latinoamericane, possiamo agire negli spazi in cui si cerca di produrre processi di confronto sociale e politico. In termini di linguaggio spaziale, questo significa apertura e porosità. In un linguaggio più strettamente politico, è inclusione. Nel linguaggio di Sintagma, equivale a “stiamo dappertutto e non siamo nessuno”. Oppure, come si diceva nel 15Maggio in Spagna, Non veniamo da nessuna parte, nessuno ci aspettava”. Tutto ciò esprime lo stesso concetto, un tipo di apertura radicale che pretende di lottare contro i processi di formazione di enclave, un termine che esiste in inglese e che si riferisce alle forme aggressive di separazione sociale e spaziale.

Come fanno gli spazi di autogestione a resistere a questa tendenza alla formazione di enclave?
Sull’efficacia di questi dispositivi, lasciati come elementi di limitazione (l’esempio della big society inglese, la strategia di lasciare che la città si faccia carico dei problemi di esclusione.) Stiamo facendo il loro lavoro? In realtà no, perchè in queste esperienze si generano valori antagonisti, di espansione del comune. Ma il rischio è latente.
Come lottare contro questi processi? Come suggerimento credo che dobbiamo cercare e creare spazi aperti, spazi di prefigurazione, così come le esperienze sociali che si sviluppano in questi spazi di sperimentazione, e attraverso il metodo di lottare contro la città delle enclaves, costruendo dal basso e in maniera eterogenea e imprevedibile questa città di sperimentazione e prefigurazione di ciò che non è ancora. Sintagma potrebbe essere un prototipo di questo tipo di città perchè è la prova che la dialettica de-centralizzazione-ri-centralizzazione può svilupparsi nello spazio pubblico. E’ stata creata attraverso una rete di micropiazze e collettivi, una rete che non si sostituiva alla necessità di un’assemblea generale attraverso la quale queste iniziative potevano condividere una idea o una base comune. Credo fermamente che il processo di creazione di una città di prefigurazione, dal basso, sia un processo di metastasi.

In questo contesto di crisi eccezionale, vi sono una serie di necessità di base insoddisfatte tanto per la borghesia quanto per il popolo. Credi che questa situazione si prolungherà nel futuro?
Rispetto alla crescente somiglianza tra la borghesia e la classe dei lavoratori, tra le classi medio alte e quelle basse, e se tutto questo ha determinato un “declassamento” , non sono certo che questi processi stiano producendo uguaglianza tra le classi, ma certamente stanno provocando un tipo diverso di relazione tra loro. Senza andare a fondo nella discussione teorica su questa questione, credo che la definizione marxista secondo la quale le classi si individuano sulla base dei rapporti di produzione non sia sufficiente, giacchè vi è un problema nella composizione delle classi rispetto al modo di immaginare il proprio ruolo nella società e la relazione con il desiderio di organizzare la propria vita.
Voglio dire che quando le classi medie perdono il lavoro, o perfino le prospettive di crescita sociale, non necessariamente diventano anticapitaliste o che comprendono, prendono coscienza, di quale possa essere il loro ruolo nella struttura della società di cui fanno parte. Lo stesso succede per la classe operaia con la perdita del lavoro, che, allo stesso modo, non la rende più portata alla comprensione della questione anticapitalista e di ciò che essa presuppone. Nello stesso tempo, la possibilità di paragonare la tua situazione attuale con un passato recente è piena di opportunità perchè ti fa pensare che realmente le cose possono cambiare.

In America latina vi è una grande ricchezza di pratiche di autogestione, di auto-costruzione nei quartieri, ma non ne deriva un cambiamento nello stato delle cose. Per esempio lo spazio pubblico, in Messico, è sotto sequestro
Non credo che sia del tutto certo, perché, di fatto, stiamo assistendo a grandi cambiamenti politici in America latina (come in Bolivia o in Ecuador), sono basati su forme di solidarietà quotidiana, lo stesso può accadere in Messico. Continuo a pensare che gli zapatisti rappresentano un grande cambiamento politico che ha prodotto trasformazioni globali. Non dobbiamo immaginare, però, che una proliferazione di movimenti presupponga la capacità di coordinarsi e di operare cambi qualitativi nella struttura globale. Credo che stiamo vivendo in Grecia il limite di questo tipo di esperienze in rapporto con la capacità di sopravvivenza delle persone. Come sappiamo le società non si suicidano, così andiamo a vedere che cosa succede. Nessuno si aspettava la rivoluzione a Tunisi, né in Egitto. Nessuno si aspettava gli indignati greci, nè Wall Street. Siamo in un periodo di grandi cambiamenti dal basso.

Nel resto dell’Europa ci sono preoccupazioni rispetto alle notizie che giungono su Alba dorata: anche loro stanno costruendo comunità e questo comporta dei pericoli
Non è una questione tanto complicata. Alba dorata è un movimento nazi, fascista e razzista, che propugna la superiorità di una razza, che in questo caso non è la greca ma quella bianca, di ispirazione tedesca. La sua struttura ideologico-politica è abbastanza naif, non è questa la sua pericolosità ma piuttosto l’attribuzione ai migranti di tutte le responsabilità di quanto stanno soffrendo i Greci. Disgraziatamente questo messaggio convince una parte della gente, che cerca una spiegazione semplice alla distruzione della propria vita. Tutto quello che fa Alba dorata in termini di solidarietà ha a che vedere con questa idea. Aiutano i poveri, o fanno certe cose anche apprezzabili, sempre che essi siano greci. Dobbiamo demistificare questo profilo solidaristico. Nella maggioranza dei casi, sono solidarietà di reti quasi mafiose, vale a dire, noi ti proteggeremo sempre e  tu ci darai il tuo voto e ci accetterai come  leader politici in una area colpita dalla crisi. Alba dorata fornisce un certo tipo di aiuto in cambio di un ricatto politico.
Non credo che ci sia un pericolo reale che Alba dorata distorca il sentimento sincero della solidarietà. Credo che essenzialmente produca un comportamento razzista e xenofobo in alcune parti della popolazione, così come fanno anche lo Stato e l’establishment per imporre maggiori aggressioni e repressione da parte della polizia. Un altro aspetto importante che forse non è facile capire per coloro che non sanno molto della storia della guerra civile in Grecia, anche se si può immaginare, è che Alba dorata è utilizzata come una leva per produrre una significativa frattura nella società greca. Accusando il crescente movimento di sinistra, che è in stretta relazione con Syriza, di essere antisociale, antigreco ed antieuropeo, cercano di forzare questa divisione usando Alba dorata come ariete per rompere in due parti la società. Anche se non credo che riusciranno a farlo.

Guardare al passato recente come a una fonte di ispirazione è l’unica cosa che ci può dare il passato? Non ci può spiegare perchè oggi stiamo in queste condizioni e continuiamo a collezionare fallimenti? Ci interessa anche un resoconto sulle esperienze che esistevano prima di Sintagma come esprerienze del procomune. Mi meraviglio che si dica che la comunità anarchica ha rifiutato, in un primo momento, l’esperienza di Sintagma. Qual è ora la situazione?
Non cerchiamo solamente i successi ma dobbiamo apprendere anche dai fallimenti del passato, non utilizzandoli solo come esempi ma considerandoli come situazioni che non dobbiamo ripetere. Permettetemi di insistere sull’importanza della comparabilità tra il passato e il presente e le differenti situazioni di questo momento, aggiungendo il problema della traduzione. Traduzione non significa semplicemente vedere ciò che è diverso e fare confronti ma vedere anche cosa può essere trasformato in comune e fare paragoni. Le differenze con le esperienze di Exarquia precedenti a Sintagma consistono nel fatto che ora le esperienze non si limitano a collettivi anarchici o di estrema sinistra. Alla fine ci siamo liberati di quest’idea di quartiere libero che è Exarquia. Questo faceva parte dell’essere prigionieri in una enclave alternativa. Ora siamo testimoni di esperienze con caratteri simili in tutta la Grecia.
Tutto questo ha avuto inizio nel dicembre del 2008, con l’assassinio di un giovane da parte della polizia durante una manifestazione, che ha provocato manifestazioni in luoghi in cui non c’erano state per cinquanta o sessanta anni. Queste iniziative sono ora molto più integrate nella società e collegate alle pratiche quotidiane che non sei o sette anni fa. È facile verificare questo se si considera il numero di iniziative proliferate, come nel caso di Volos, che raccontava prima la compagna che ha parlato. Una città che ha avuto sempre un  movimento di sinistra e un forte sindacato che ora è sede di iniziative collegate tra le differenti parti della società.

Come vengono convocate le mobilitazioni generali e come nascono? Il coordinamento è stabile o episodico?
Non c’è grande coordinamento, non c’era durante l’esperienza di piazza Sintagma. Sappiamo anche che non c’era nelle altre Sintagma, che si sono sviluppate in altri luoghi. Forse dovremmo fermarci ogni tanto a pensare su questa questione: è qualcosa che dovremmo imporre o invece dovremmo aspettare che le cose accadano con ritmi e livelli diversi. Perchè magari se proviamo ad usare la prima strada potremmo ottenere il risultato opposto, un soggetto che impone le modalità di azione su questo strato eterogeneo. Non sono certamente contrario al coordinamento, ma  dobbiamo tener conto e cercare di produrre meccanismi che ci aiutino a comprendere come il movimento non ha sempre gli stessi obiettivi, perché non sempre si focalizza nello stesso luogo, né con le stesse necessità. È questa stessa molteplicità che può produrre effetti importanti.

Si sta reinventando la democrazia nelle strade, ma si immaginano anche nuove forme di democrazia, a livello più ampio? Come si può immaginare la trasformazione del sistema dei partiti e del sistema della rappresentanza?
Sulla democrazia, l’idea predominante a Sintagma era la democrazia diretta, in un rapporto omogeneo con le esperienze analoghe in altre parti del mondo. C’è stata una grande assemblea che ha provato a lavorare proprio su questa questione della democrazia diretta, della democrazia essenziale. Sono stato invitato, insieme ad altri, a fare un intervento. A parte il fatto che questa è stata una delle esperienze più importanti della mia vita, questa discussione girava intorno a come risolvere il problema della rappresentanza. C’era gente che pensava che l’occupazione della piazza avrebbe dovuto servire da sprone per richiedere cambiamenti nella legislazione ma la maggioranza era del parere che dovevano essere loro stessi a prendere le decisioni e non quelli che stavano in alto, nel Parlamento. L’idea della democrazia si è sviluppata attraverso tutte le esperienze che ho menzionato, insieme allo scetticismo verso la classe politica, a maggior ragione dopo le decisioni che stanno prendendo negli ultimi tempi. Tuttavia, non bisogna dimenticare che una gran parte della società crede che ci sia un movimento di sinistre istituzionali dietro Syriza, un movimento che potrebbe produrre cambiamenti reali e aprire nuove opportunità nelle condizioni sociali. Molti pensano che questo ha provocato una nuova nascita di fiducia nella democrazia partecipativa e nella capacità dei partiti politici di cambiare effettivamente le cose. Queste due cose oggi si verificano in contemporanea.

Traduzione per Comune-info di Massimo Angrisano.

Eva Garcia e Beatriz Garcia fanno parte dell’Observatorio Metropolitano di Madrid.

Wallerstein::Once upon a time United Kingdom

C’era una volta un re, a Buckingham Palace.  Quello britannico è stato il più esteso dominio dell’umanità, più di 500 milioni di persone, in cinque continenti. Il Regno unito è stato la potenza economica e militare più importante del pianeta per un secolo. Oggi anche l’egemonia mondiale del suo grande alleato della storia recente, gli Stati Uniti, è in evidente declino e la Gran Bretagna non viene più considerata un paese importante sia dal punto di vista finanziario che da quello geopolitico. Un destino assai poco felice per un grande potere del passato che non è stato capace di reinventarsi un diverso ruolo nel mondo
di Immanuel Wallerstein
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C’è stato un tempo in cui il sole non tramontava mai sull’impero britannico. Non è più così! Nel 1945 Winston Churchil proferì la famosa frase: “ Non sono diventato primo ministro di sua maestà  per presidere alla liquidazione dell’impero britannico”. Ma, di fatto, fu esattamente quello che fece. Seppe distinguere tra la ampollosità e il potere. Dal 1945 la Gran Bretagna ha sempre cercato, con notevoli difficoltà, di restare conforme al suo ruolo di potenza egemonica del passato. Va considerato quanto questo sia difficile, tanto sul piano psicologico quanto su quello politico.
Oggi sembrerebbe che i dilemmi di questa strategia politica alla fine siano implosi e che le opzioni che si confrontano siano tutte negative.La Gran Bretagna uscì dalla seconda guerra mondiale come uno dei Tre Grandi (Stati Uniti, Unione Sovietica e Gran Bretagna). Certamente era il più debole dei Tre Grandi.La strategia scelta fu di diventare l’alleato minore degli Stati uniti, la nuova potenza egemonica.A questo si richiamava, per lo meno in Gran Bretagna, la relazione speciale che manteneva con gli Stati uniti.Il maggior beneficio che la Gran Bretagna ottenne da questa relazione speciale fu il trasferimento inmediato di tecnologia nucleare che le consenti da quel momento in avanti di essere una potenza atomica.Gli USA non ebbero un atteggiamento in alcun modo simile con la Unione sovietica. Men che mai con la Francia.
Gli USA puntavano ad un monopolio nucleare globale, condiviso unicamente con il loro alleato minore.Certamente, come ben sappiamo, questo monopolio globale fu dissolto, prima dall’URSS, poi dalla Francia e dalla Cina e quindi da un buon numero di altri stati. Nell’Europa occidentale continentale i primi passi verso la riconciliazione franco tedesca iniziarono con la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). Questa comprendeva sei nazioni (Francia, Germania, Italia ed il trio Benelux -Belgio, Olanda e Lussemburgo). Non includeva la Gran Bretagna. Questi primi passi verso la unione europea di oggi vennero sostenuti in quella fase dagli Stati uniti, come un modo per rendere possibile la iunclusione della parte occidentale della Germania in quella che sarebbe diventata la NATO.
Non è certo che i dirigenti britannici apprezzarono questa nuova struttura continentale europea. La Gran Bretagna parve reagire cercando di assumere una posizione geopolitica indipendente dagli USA. E si alleò con la Francia e Israele per attaccare l’Egitto di Nasser. In questo frangente gli Stati uniti puntavano ad un’altra stategia in medioriente e subito rimproverarono la Gran Bretagna ed insistettero perchè rutirasse le sue truppe. Questo episodio fu umiliante per la Gran Bretagna ma le ricordò i limiti della sua capacità di essere indipendente dagli USA. Tuttavia, dopo questa vicenda, gli Stati uniti cominciarono ad insistere perchè la Gran Bretagna si unisse alle strutture del continente europeo. In parte ciò fu dovuto alla preoccupazione degli USA che queste strutture assumessero una posizione, ispirata dai francesi, relativamente indipendente.
Dal punto di vista degli Stati uniti la Gran Bretagna avrebbe potuto continuare ad evitare questo rischio. Dal punto di vista britannico entrare a far parte di quelle strutture avrebbe avuto un particolare vantaggio. L’ultima traccia restante della sua antica egemonia era l’importante e continuo ruolo della City di Londra nella finanza mondiale. La Gran Bretagna aveva bisogno dell’accesso ai mercati europei per garantirsi questo ruolo. Fu così che la Gran Bretagna entrò nelle strutture comunitarie, nonstante la contrarietà di Charles De Gaulle, che comprese con sufficiente chiarezza le motivazioni degli USA al tal proposito. Nel corso degli anni 70 fu la egemonia degli USA che cominciò ad essere messa in discussione. Tanto la Francia come la Germania diedero impulso ad aperture diplomatiche verso l’URSS, che sarebbero culminate molto tempo dopo, nel 2003, nella resistenza franco tedesca che fece si che il Consiglio di sicurezza non appoggiasse la invasione militare statunitense dell’Irak.
donna ingleseAl momento in cui iniziava il caos geopolitico il governpo britannico si alleò in modo totale con gli Stati uniti. La completa subordinazione di Tony Blair alla politica statunitense, cominciò a produrre un senso di vergogna all’interno della opinione pubblica britannica che giudicava assai negativamente una relazione speciale tanto unilaterale. Sempre più gente in Gran Bretagna riteneva opportuno liberarsi del vincolo con gli Stati uniti e dai legami europei. La forza crescente del Partito dell’indipendenza del Regno unito (UKIP) è una espressione imprtante di questo mutato sentire. La Gran Bretagna ha rifiutato di entrare nella zona Euro. Nel terremoto economico che si sviluppò  in modo evidente dopo il 2008, il desiderio di ritirarsi dall’Unione europea crebbe costantemente, soprattutto all’interno del partito conservatore.
Naturalmente questo fatto allarmò i gruppi finanziari della City che correttamente videro che una delle conseguenze avrebbe potuto essere che Francoforte avrebbe eclissato Londra come centro della finanza europea.
La Gran Bretagna ha anche altri problemi: la sempre crescente forza del regionalismo ( fino alla ipotesi dell’indipendenza) di Galles, Scozia e Irlanda del nord. La Gran Bretagna resiste come meglio può al rischio di ridursi a mera Inghilterra. E l,o sta facendo in un momento in cui gli Stati uniti non sembrano significativamente impegnati in qualcosa che possa essere lontanamente somigliante ad una relazione speciale.
Il problema della Gran Bretagna è che oggi tutte le opzione che ha di fronte sono negative. La Gran Bretagna vorrebbe continuare ad essere una potenza militare importante. Ma lo stesso governo che lo sbandiera è anche quello che sta riducendo le spese per le forze armate e le dimensioni delle stesse, come parte del suo programma di austerità. Il più grande problema della Gran Bretagna oggi è che il resto del mondo ormai non la considera un  paese importante come attore finanziario e geopolitico. Essere ignorato non è il destino più felice per un potere egemonico del passato.

Fonte la Jornada